ANDRÁ TUTTO BENE

di | Mar 12, 2020 | Attualità

I fari della macchina, illuminavano le strade vuote. Erano le sei della sera ma di gente in giro non se ne vedeva. Le serrande dei negozi erano chiuse; solo, in fondo al paese, la luce verde di una farmacia lampeggiava formando figure gioiose, fuori luogo e fuori dal tempo, come la comicità malinconica di un pagliaccio del circo.

La paletta delle guardie spuntò quasi all’improvviso, come dal nulla. “Alt” fece il poliziotto, mettendosi quasi in mezzo alla strada. Marco ebbe come un sobbalzo a quella intimazione, per fortuna stava guidando piano in quell’atmosfera da film e si fermò immediatamente.

Aprì il finestrino e un odore acre di quella roba sparsa nell’aria, invase l’abitacolo. “Ma come fate a stare qui fuori fermi?” domandò all’appuntato che stava avvicinandosi. “E’ il nostro dovere” rispose la guardia con le parole ovattate dalla maschera che gli copriva il volto. 

“Dove deve andare?” domandò l’agente, piegandosi per osservare l’interno della macchina. Marco che nel frattempo non aveva trovato di meglio che mettersi un fazzoletto alla bocca rispose “vado a comprare qualcosa da mangiare e passo di farmacia a prendere delle medicine”.

“Ha l’autocertificazione?” continuò il poliziotto porgendo la mano. “Ecco ho scritto tutto, come da istruzioni”. Dopo una rapida lettura gli fu detto di andare “Grazie, buon lavoro” replicò il giovane dalla macchina “speriamo che questo gas non ammazzi prima noi”. L’uomo lo salutò con la mano. Dallo specchietto retrovisore, con l’uniforme, quella maschera, la penombra che man mano lo inghiottiva e il lampeggiante dell’auto che lo illuminava di blu ogni tanto, sembrò un invasore extraterrestre.

In fondo, pensò Marco, siamo veramente in guerra contro un invasore alieno.

L’auto preseguì voltando a sinistra, sulla strada principale. Due figure vestite integralmente con una tuta bianca ed una maschera che copriva tutta la testa, lo guardarono allontanarsi mentre spargevano con una specie di soffiatore un getto bianco di polvere. Era un potente disinfettante quello che lasciava quell’odore acre che prima era penetrato nell’auto di Marco.

Arrivò all’ipermercato dopo qualche minuto. Le luci arancioni, che di solito illuminavano, centinaia di macchine stipate nei parcheggi, questa volta spandevano il loro fascio sui posti vuoti. Sembrava di essere una di quelle rare sere di festa quando i centri commerciali sono chiusi e, passando vicino, la desolazione dei parcheggi senza nessuna macchina restituisce la malinconia della solitudine.

Marco scese nei locali sotterranei. Lì l’atmosfera era ancora più strana. Alle curve lo stridio delle ruote che strofinavano sul cemento, rimbombava perdendosi fra colonne e carrelli stipati in fila. Si mise la mascherina e indossò dei guanti, prese un carrello e si avviò verso i tappeti mobili che portavano all’interno del supermercato. Un addetto metteva tutti in fila ben distanziati, aveva una radio e aspettava istruzioni per fare passare un numero di clienti tale da non affollare i locali superiori.

Venne il suo turno e riuscì ad entrare. In effetti un po’ si vergognava, tutto bardato com’era. Quella tensione però si sciolse quando vide tutti i clienti e i dipendenti dietro i banconi con mascherine e guanti come lui.

Era il silenzio che sorprendeva, si parlava poco e in sottovoce.  Saranno state le mascherine, ma l’unico rumore che si percepiva erano le ruote dei carrelli.

Ognuno faceva la spesa in modo veloce come a voler uscire alla svelta. Quando però gli sguardi, resi più intensi dalla linea delle mascherine poco al di sotto, si incrociavano per una un attimo fugace, nel mutismo di quel momento veloce e sfuggente, si leggeva una vera solidarietà, comprensione, fraternità. Una sorta di complicità. Come combattenti di una resistenza patriottica. 

Eravamo lì a sfidare il nemico in un’azione rapida, strategica. Sfidavamo quell’essere ostile, invisibile da novelli partigiani. L’arma strana della solitudine, dell’isolamento, della distanza gli uni dagli altri, era la sola arma che avevamo. 

A mani nude contro un avversario agguerritissimo. Un fantasma, un’ombra. Impalpabile, vigliacco e subdolo che si celava dietro un alito, un fiato di un amico, l’abbraccio di un’anziana madre, il bacio della persona amata.

Marco arrivò alle casse. La cassiera muta e veloce scorreva i prodotti al lettore fino al conto finale “grazie per quello che fate e buon lavoro” sussurrò Marco. Gli occhi azzurri della ragazza si illuminarono e certamente sotto la maschera un sorriso riconoscente avrebbe fatto bella mostra su un volto che comunque sarebbe stato bellissimo. Il ragazzo si avviò con il carrello, dopo alcuni metri si voltò. La cassiera lo stava ancora seguendo con lo sguardo. Per un attimo erano stati accanto nella stessa trincea, complici e solidali. Un breve cenno di saluto con la mano li legò per un attimo come una staffetta della Resistenza al combattente che si recava in un’azione.

Quel gesto fece stare bene Marco, che uscì fuori con le borse in mano. L’accolse un vento fresco che allontanò l’odore che aleggiava, chiuse gli occhi a respirò profondamente alzando la maschera. Intorno non c’era nessuno mentre una luna piena offriva uno spettacolo di serenità quasi fuori posto.

Lo sguardo fu attratto da un movimento di una finestra di fronte. 

Bello superbo e inconfondibile sventolava lento e maestoso il tricolore Italiano. Marco lo osservò a lungo, le braccia appesantite dalle borse, le braccia lungo il corpo. Gli occhi gli si inumidirono e mentre una piccola lacrima gli scendeva sulla guancia, tirò su con il naso e si guardò intorno.

Aprì lo sportello e prima di entrare, rivolgendosi al niente che aveva intorno disse a voce alta “Virus maledetto noi ti batteremo e quel giorno sarà una nuova festa della Liberazione”.

Partì volgendosi intorno e scelse di fare una strada secondaria, più lunga e meno trafficata, d’altronde le azioni di guerriglia esigevano di sorprendere il nemico. 


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