FANTACALCIO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

di | Mar 3, 2020 | Attualità,Storie

Lo sappiamo tutti e ormai questa è storia. Il Coronavirus, nel 2020 mise l’Italia in grandissima difficoltà

Ma quello che accadde nel mondo del Calcio andò oltre e molti ritennero che il virus avesse inesorabilmente colpito il cervello dei dirigenti della Federazione.

Dopo un fermo delle partite, che mise tutti i club gli uni contro gli altri, per sospetto di privilegi e di favoritismi, finalmente fu convocata una riunione con tutti i responsabili delle squadre.

Tutti i presidenti e gli amministratori delegati, avrebbero dovuto indossare una mascherina, ma siccome queste non si trovavano più, ognuno si arrangiò come potè. I dirigenti delle squadre del Veneto furono i più eccentrici e si fornirono raffazzonando quello che restava dal carnevale. Alcuni con le maschere di Balanzone e Arlecchino, altri, più propriamente, con quella che veniva usata dai dottori durante la peste, anche se sembravano tutti cornacchie. Quando però il presidente del Verona prese la parola con la maschera di Colombina si toccò l’apoteosi. Quello della Juventus, per sicurezza era vestito con la tuta dell’Uomo Ragno, quello del Napoli ovviamente da Pulcinella, gli altri chi da Batman chi da Hulk. 

Quando però entrò il presidente dell’Inter calò il gelo. L’unico con la mascherina vera, medica, attrezzatissimo. Era Steven Zhang, cinese della Cina. Si mise seduto e intorno fu il vuoto. Si dice che alcuni Amministratori Delegati batterono il record di apnea non respirando per quattro ore e trentasette minuti. Il presidente della Fiorentina, vicino di sedia, fece una doccia di centoventisei litri di Amuchina, pagando il tutto settecentocinquantamilioni di dollari, senza clausola di riscatto. Quello del Napoli, sempre con la maschera di Pulcinella, per sicurezza tirò fuori un corno di corallo rosso del peso di 6 tonnellate.

Comunque la riunione iniziò. “Ma dove dovremmo giocare?” fu subito richiesto. Si alzò solenne il presidente della Federazione “Prima di tutto Lodi…”. Non gli fu permesso di continuare. Al sentire l’epicentro dell’epidemia arrivarono al presidente, ventidue bombe a mano, sette coltelli serramanico, due missili terra aria e un vaso da notte non si sa bene da dove.

Dopo mezz’ora di baruffa il presidente poté finalmente finire “ prima di tutto lodi alle autorità sanitarie per quello che stanno facendo e ora decidiamo come giocare” La riunione durò tutta la settimana finché il presidente del Chievo non fece uno starnuto. Si fece un silenzio glaciale, fu cercata una frase di circostanza e con un: “detto questo possiamo andare”, tutti si dileguarono. il giorno dopo si sarebbe giocato con le regole assunte.

La domenica successiva i tifosi furono pregati di recarsi allo stadio con quattordici ore di anticipo. A tutti fu fatto il tampone, ma siccome questi non erano sufficienti, furono fatti arrivare cinquecentomila cottonfioc.

La scritta Made Wuhan PRC non fu notata, ma i quattrocentonovantanovemilasettecento positivi, alla fine, qualche sospetto lo fecero emergere.

Comunque i restanti trecento spettatori, poterono distribuirsi nei vari stadi e furono fatti sedere alla distanza di centocinquanta metri l’uno dall’altro. Furono mandati in onda dagli altoparlanti gli slogan preregistrati delle curve in modo che tutto sembrasse normale.

Ogni giocatore si vestì per precauzione a casa sua e in forma anonima, con impermeabile nero, occhiali neri e cappellaccio nero, arrivarono allo stadio chi su una Punto del 2006, chi su una Panda 4X4.

Entrarono nel campo ognuno distanziato di venti minuti dall’altro e le partite iniziarono in notturna. Siccome ogni emissione forzata di fiato era stata bandita, non ci fu fischio d’inizio e l’arbitro diede il via con un cenno del braccio.

Il portiere della Lazio distratto mentre si lavava i guanti con l’amuchina, non si avvide del movimento e subì un goal direttamente su calcio di inizio. Le regole prevedevano che ognuno dovesse correre a distanza minima di quattro metri dall’avversario. Non erano ammessi: scivolate, spintonate, trattenute, spallate, abbracci e baci in bocca.

Solo i tiri da lontano, calciati da almeno 10 metri dall’area di rigore e oltre 5 dal cerchio di centrocampo. Le punizioni a due erano consentite solo dopo aver provato la temperatura con idoneo scanner ai giocatori. 

Nelle barriere, a causa della distanze tra i giocatori, il primo e l’ultimo uomo di barriera per allinearsi si mandavano uno Whatsapp.  L’Inter aveva fatto undici esemplari della sagoma cartonata di Lukaku ed al goal fatto i giocatori andarono ad abbracciarla per evitare sanzioni.

La Juventus incontrava la Spal, ultima in classifica, pensando ad una partita facile. Ronaldo, accerchiato da tutta la squadra, compreso il portiere, le riserve e il massaggiatore avversario che si era intrufolato, iniziò a fare il passo doppio e siccome nessuno poteva contrastarlo, girò in tondo per ottantanove minuti. 

Al novantesimo però accadde tutto. Il tornante della Spal, che aveva preso una gomma da masticare, allergico alla menta, tossì per due volte. L’arbitro fischiò non sapendo bene cosa fosse accaduto. Dalla sala VAR gli dissero “ma che cavolo hai fischiato?”. Lui imperterrito volle vederci meglio è si recò al video ai bordi del campo, con il codazzo di giocatori a cinquanta metri che protestavano, per questo non li ascoltò.

Il quarto uomo gli gridò “Attento lo schermo non è stato disinfettato”. l’arbitro allora si fermò a trenta metri e naturalmente non vide una cippa, ma siccome non voleva passare da coglione, fece il gesto dello schermo, che fra l’altro gli venne male e sembrò un culo stilizzato, e decretò un rigore per la Spal. L’allenatore della Spal in quel momento chiese un cambio strategico.

Fece uscire il centravanti e mise in cambio Egisto Predolin, sessantadue anni, novantadue chili, acquistato la settimana prima dalla “Semper Grappa”, squadra di calcio a cinque amatoriale di Codogno. Era lui il destinato a quel calcio determinante.

L’altoparlante annunciò “entra in campo Predolin di Codogno”, proprio con  la provenienza come aveva chiesto l’allenatore. A quell’annuncio il portiere della Juventus iniziò a tremare. Predolin prese il pallone e fece un gesto eclatante, baciò il pallone e lo mise sul dischetto. Il tiro fu centrale, ma il portiere al fischio, scappò verso l’uscita. L’aspettava un tassista abusivo, tale Chen Zai Cassarini, nato a Rho, immune da coronavirus, per fuggire sembra in Alaska.

L’arbitro decretò subito la fine. Fu un goal famosissimo che consentì all’ultima in classifica di sconfiggere la Juventus in casa. Ci furono proteste e scontri fuori dallo stadio. Erano la Polizia e gruppi sparsi, molto sparsi, anzi rarefatti di tifosi, tanto radi, che per fare le cariche i poliziotti dovevano cercarli con google maps.

Dell’arbitro però non si seppe più niente. Si dice che gli fu mandata una certa Tamara, noto travestito ottancinquenne di Lodi, trovato positivo al coronavirus, poi negativo e di nuovo positivo dopo quattordici giorni. Solo pochi amici sanno dove si trovi, lo chiamano da allora “Quarantena”. Sembra che sia in grado di parlare con il coranavirus e riesca a giocarci a briscola tutte le sere. Chissà se sia vero e se il coranavirus ancora esista ma questa è un’altra storia. 


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