VECCHIE SERE D’ESTATE

di | Lug 3, 2020 | Attualità

Quando arrivava l’estate per noi bambini  tutto cambiava. La scuola finiva e iniziava un tempo diverso. Lo sentivi  dentro e lo vedevi fuori. I “casamenti” degli operai dell’Italsider, così venivano chiamati  quei condomini alla periferia del paese e ai confini con quello che allora erano solo campi e argini dell’Arno, si arroventavano al sole. Le terrazze si vestivano di tende di tutti i colori che si muovevano lente al caldo vento estivo. Sembravano vele e i nostri casamenti navi che solcavano il mare del grano che allora le circondava. La sera le finestre delle cucine con le luci al neon finalmente spente contro le zanzare e per catturare la frescura della sera, erano spalancate. Solo il tenue chiarore bluastro dei televisori, per coloro che li possedevano,  emetteva lampi quasi per tutti uguali e simultanei, d’altronde i canali allora erano solo due.

Per noi bambini la televisione nelle sere estive, contava poco. Poche le trasmissioni ci interessavano. Su tutte Giochi senza Frontiere, “une, duex…” e il fischio “degli arbitri internazionali” Oliveri e Pancaldi, rigorosamente imparziali e quindi svizzeri, davano inizio alle gare e a speranze di jolly ben giocati dalle squadre italiane.

Ma la sera per noi era finalmente la libertà di uscire. Fuori, tutti a giocare. Un insieme di magliettine a righe, pantaloni corti (che poi, più pesanti, avremmo portato anche d’inverno), corse e corse a perdifiato, ginocchia e gomiti sbucciati, nascondino in luoghi divenuti bui, introvabili, affascinanti e paurosi.

Caccia alla luce pulsante di lucciole bellissime e inconsapevoli della incredibile facoltà di sacrificarsi producendo, sotto a bicchieri fatti prigione, golosi pezzi da cinque e dieci lire.

Le mamme, giovani e bellissime, sedevano sulle panchine dei casamenti. Ci osservavano, comunque attente e parlavano fra loro e ogni tanto: “piano, correte piano che vi fate male”.

Delle sere si andava ad aspettare il babbo che alle 10 di sera finiva il turno alla ferriera. “Si va a riscontrare il babbo” ci diceva la mamma e da quel momento iniziava una sorta di impresa. Le strada che conducevano alla ferriera, dalla periferia dove abitavamo, era allora solo una. Ma noi tagliavamo per i campi. Un viottolo lungo un piccolo borriciattolo buio ma illuminato dalle sere estive in verità mai completamente scure.

Non era una passeggiata era un’avventura.

Grilli, rane, lucciole, fruscii di erba smossa da chissà quale animale notturno. Solo la mano forte della mamma, stretta nelle nostre, ci dava sicurezza.

Poi fuori dalla porta della ferriera, vicino alla stazione, si aspettava sulle panchine il suono lungo della sirena delle dieci di sera che annunciava la fine del turno. Dopo un po’ iniziavano a frotte a uscire gli operai. Con le tute pesanti, le scarpe grosse che li dovevano proteggere dagli schizzi dell’acciaio rovente e in una mano il paniere che aveva contenuto la loro cena. Noi si correva incontro al babbo che ci prendeva in collo e giù baci su quella faccia bellissima e sporca di nero del suo lavoro.

Se tornati a casa c’era ancora qualcuno fuori imploravamo la mamma di farci stare fuori ancora qualche minuto. Il tempo di “uno, due, tre, stella” o di una “campana” o di una “bandierina”. 

Più tardi erano le voci delle mamme dalle terrazze che chiamavano i nostri nomi: “dai che è tardi, vieni su”.

Già, niente smartphone, niente sms, niente whatsapp.

Ma io come allora, non ho sonno. Facevo finta di andare a letto e poi, nel buio, mi mettevo alla finestra a guardare fuori. Nel silenzio della notte, i pochi lampioni permettevano di vedere le stelle che ancora stanotte mi guardano da lassù come allora. Il vento caldo e leggero di queste sere di inizio luglio smuove le fronde delle querce e del noce. Nel buio sento il rumore delle foglie che sembrano parlarmi: “…quarantotto, quarantanove e cinquanta, vengo, vengo e vengo! Visto Nedo”. Facile la luna piena illumina i miei capelli bianchi e i ricordi di bambino. Lo so toccherebbe a me a “cucciare” ma è tardi e devo andare, proprio come allora. Mi aspettano sogni immaginifici. Allora buonanotte bellissima e antica sera d’estate.


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